sabato 23 febbraio 2008

L'albero della vita



L'uomo corre veloce.


L'uomo cammina piano.


Cosa c'è in comune…in apparenza nulla.


In realtà scioccamente una cosa in comune c'è. Una cosa importante c'è davvero.


Lo fanno a testa alta.


Testa alta come a scrutare cosa poco più in là c'è.


Come a fiutare l'aria per cercare di prevedere cosa accadrà.


Come a dire che sapere cosa ci aspetterà ci può far stare più tranquilli ora.


Come a dire che prevedere cosa vi è al di la degli specchi ci farà stare meno male.


Forse il presente è meno presente di quanto pensiamo.


Forse il presente non è altro che la fusione del passato più prossimo e del futuro con cui ci scontreremo al più presto.


Forse il presente non è altro che una pura illusione in quanto non appena proviamo a percepirlo è già svanito.


Lecito è domandarsi a questo punto: è possibile vivere un presente felice senza spizzare il futuro?



mercoledì 13 febbraio 2008

Sonetto 116



Se qualcuno si chiedesse a chi domandare parole di puro amore.

Dono ai miei pochi ma intensi lettori versi il cui amore e saggezza trasudano in ogni singola parola e spazio muto.

Grazie a tutti voi che visitate e lasciate messaggi.





Non che all'unione di animi costanti


ponga io impedimenti: non è amor vero


quel che ai mutamenti muta i manti


o s'immiserisce se l'altro è misero.


Oh no, no esso è un faro per sempre fisso


sulle tempeste, ma mai ne è turbato;


stella polare è per chi è nell'abisso,


e il suo valore è ignoto anche se stimato.


L'Amore non è del Tempo il buffone,


a dispetto della sua letale falce;


l'amore ai suoi brevi momenti s'oppone


resistendo fin al Giudizio iscritto in calce.


Se questo fosse errore e sia provato,


non ho io mai scritto e nessuno ha mai amato.


Shakespeare







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giovedì 7 febbraio 2008

Storia di un ragazzo afgano



"La maggior parte annega dopo essere salita su barche stracariche, dopo aver pagato il passaggio più di un biglietto di nave da crociera. Su di loro il mare preleva una quota, una decima parte naufraga e affoga in sacrificio al dio Nettuno e a nessuno che ne porti responsabilità. Ma qualcuno muore anche via terra.Il ragazzo afgano era arrivato in Italia, ce l'aveva fatta, da solo. Nell'ultimo tratto del viaggio gli era riuscito il capolavoro di infilarsi in una nicchia sotto l'albero di trasmissione di un camion spagnolo proveniente dalla Grecia. Si era legato bene con cinghie e corde. Nessuno se ne era accorto neanche i due autisti. Gli era riuscito il capolavoro: arrivare in Italia sgusciando tra le maglie e tra le gambe dei doganieri. Aveva fatto il contrabbandiere di se stesso, viaggiando con la faccia a 30 centimetri dall'asfalto. Del resto il corpo umano è oggi la merce più redditizia da trasportare, in regime di libera circolazione delle merci ma non delle persone. Veniva dall'Afghanistan, voleva l'Italia, forse aveva qualcuno da raggiungere. La cinghia si dev' essere allentata, un pezzo di corda ha ceduto. Mentre il camion correva verso Ovest, il ragazzo ha cominciato a sfiorare il suolo italiano. Il suo corpo scivolato è stato straziato dall'attrito….Così è finita la corsa del ragazzo afghano, in una corsia di parcheggio vicina a Bertinoro. E' stato dilaniato come nella sua terra i suoi coetanei, esplosi sulle mine o sotto le bombe sapienti dell'aviazione occidentale in cerca di nemici. Si è disintegrato su una pista del nostro ovest. Non ci possiamo fare niente, né per impedirlo né per risarcirlo. Possiamo solo raccontare il coraggio, la volontà, il destino, per toglierlo dalla cronaca di un giorno e tenerlo nel pugno di memoria di una storia. Muoiono così gli uomini del secolo secondo delle grandi migrazioni, cercando un'altra terra, una mano che afferri la loro disperata. Ma non sarai l'ultimo, verranno altri ragazzi, passeranno sotto i camion, in celle frigorifere, in gusci di legno sbattuti sulle via d'acqua del Mediterraneo. Altri verranno e ce la faranno al posto tuo, in nome tuo, perché noi che vi neghiamo il passo non vi fermeremo mai"



Erri de Luca

Le città invisibili



La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall'ultimo modello d'apparecchio.
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi di plastica, i resti della Leonia d'ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d'imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l'opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero, come dicono, il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere, l'allontanare da sé, il mondarsi d'una ricorrente impurità.
Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.
Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori della città, certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai devono arretrare più lontano; l'imponenza del gettito aumenta e le cataste s'innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto.
Aggiungi che più Leonia eccelle nel fabbricare nuovi materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a fermentazioni e combustioni. E` una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne.
Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che s'ammucchiano sulle spazzature dell'altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri.

Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale, immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé montagne di rifiuti.
Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta.
I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.
Più ne cresce l'altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un vecchio pneumatico, un fiasco spogliato rotoli dalla parte di Leonia ed una valanga di scarpe spaiate, calendari d'anni trascorsi, fiori secchi, sommergerà la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde: un cataclisma spianerà la sordida catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo.
Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.



Italo Calvino

martedì 5 febbraio 2008

L'albero


« Una carta del mondo che non contiene il Paese dell'Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo,
perché non contempla il solo Paese al quale l'Umanità approda di continuo.
E quando vi getta l'àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l'Umanità di nuovo fa vela. »


Oscar Wilde

domenica 3 febbraio 2008

Giulietta e Romeo


Oh Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?
Rinnega tuo padre, e riufiuta il tuo nome!
o, se non lo vuoi, tienilo pure e giura di amarmi,
ed io non sarò più una capuleti.
Shakespeare